REGINA MADRE

di Manlio Santanelli
con
Milena Vukotic
Antonello Avallone
scene e costumi di Red Bodò
regia di
Antonello Avallone
Roma, teatro dell’Angelo
2- 19 ottobre 2014

Maricla Boggio

Una trentina di anni fa questo testo di Manlio Santanelli debuttò al Festival di Asti; mi azzardo a ritenere che lo avesse scritto ispirandosi a Isa Danieli, che lo interpretò a lungo e con appassionata partecipazione; suo partner di allora fu Roberto Herlitzka, lontano da napoletanità naturali, ma certo dotato di immedesimazioni multiple; la regia era di Sergio Fantoni.
Da quel tempo “Regina Madre” è stato rappresentato in numerosi paesi europei ed extraeuropei. Il motivo di fondo è senz’altro quello per cui in ogni paese e in ogni sia pur differente cultura i due personaggi rispecchiano caratteri, modalità, nevrosi e affettività analoghe; tipiche della natura umana, queste caratteristiche superano le differenze sociali e perfino quelle culturali, rimanendo comune il contrasto insanabile fra una madre e un figlio adulto, che per tutta la vita ha avvertito nella genitrice non la protezione e la rassicurazione materna, ma il ripicco, magari affettivamente manifestato, la contraddizione di ogni scelta esistenziale, a cominciare da quella del lavoro – il non più giovane figlio fa il giornalista – e dal rapporto con una moglie che alla anziana signora è sempre apparsa insopportabile, sentendola in competizione con lei.
Questo testo trentennale è stato oggi rimesso in scena da Antonello Avallone, con una devota attenzione a ogni risvolto caratteriale, sentimentale, nevrotico e immaginativo dei due personaggi, tanto da consentirne un’intepretazione che si sviluppa in due atti, sempre nella stessa scena – una vasta sala da pranzo di stampo borghese -, opera accorta e funzionale al vario susseguirsi delle sequenze, creata da Red Bodò -, senza stanchezze nonostante le due ore di spettacolo. Perché le variazioni che i due interpreti applicano al testo, come se fosse una complessa sinfonia, consentono che l’interesse degli spettatori si mantenga attivo, sempre di fronte alle sorprese che l’autore ha architettato.
Così la situazione di per sé piatta, di una madre anziana nella cui casa accorre il figlio maturo per sostenerla in una malattia dichiarata dal medico ma ben poco visibile, si fa sorgente di infinite trovate. I due attori gareggiano in capacità di ravvivare ogni risvolto tematico. C’è il rimprovero per delusioni subite dalla madre per via di quelle scelte, di lavoro e di coppia, che lei non ha mai accettato. C’è il ricordo di una giovinezza passata felicemente accanto a un marito – padre del reprobo – impareggiabile, che la vedova fa rivivere attraverso più che vissute, immaginate vicende avventurose – la prima volta che si videro lui la salvò dai pescecani -; c’è poi l’invenzione “cannibalica” del figlio che in un impeto di trascinante ferocia racconta di aver divorato la moglie durante un lungo inverno in cui i due si trovarono prigionieri della casa di montagna sommersa dalla neve… Le trovate non mancano, per poi ribaltarsi nel ritorno alla verità, assai più banale e invivibile se non vi fossero quegli squarci di fantasia. Il lungo dialogare è tenuto sul filo del rasoio, fra un odio represso e una tendenza al gioco, fra un desiderio di affetto e un insopprimibile desiderio di vendetta. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a uno spettacolo in scena a Londra, perchè la recitazione ha quel calibro impeccabile che distanzia l’ascolto e insieme lo coinvolge, ed è la duplice tenuta della scrittura e dell’interpretazione a creare l’impasto. Milena Vukotic ha dato al suo personaggio una lievità che forse non possedeva nella più corposa vitalità napoletana della Danieli. Qui Avallone, che ne ha curato la regia e prima ancora la trasposizione in italiano, ha offerto all’attrice di sfruttare la sua ironia e il suo charme dai molti risvolti, in un arco che si dispiega dalla durezza crudele del rinfaccio alla delicatezza di sentimenti infantili: bella la scena in cui la madre mostra al figlio quella borsetta appena ricordata, di quarant’anni prima, e lui la sfiora con un po’ di quel trucco della giovinezza, rapito in un rapporto d’affetto appena sfiorato… Avallone si è anche immedesimato nel tormentato figlio, portandolo con sapiente gradualità dai goffi tentativi di un affetto mai sentito alla crisi che lo condurrà – non la madre, beffa di Santanelli! ma lui ancora giovane e aitante – a una morte precoce: lo possiamo rivelare dal momento che, almeno per ora, lo spettacolo ha esaurito le sue repliche. Deliziosamente inglese anche il finale, con tanto di torta con le candeline accese che sfavillano nel buio, mentre la tremenda Regina Madre canterella “Happy birthday” e il figlio giace inanimato sul divano.
Ma agli applausi, lunghi e ripetuti, i due quelle candeline le spegneranno insieme per la delizia degli spettatori.