UN NEMICO DEL POPOLO

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di Henrik Ibsen

traduzione Luigi Squarzina

regia Massimo Popolizio

con Massimo Popolizio, Maria Paiato

Tommaso Cardarelli Francesca Ciocchetti

Martin Chishimba Maria Laila Fernandez

Paolo Musio Michele Nani Francesco Bolo Rissini

e con

Dario Battaglia Cosimo Frascella Alessandro Minati

Duilio Paciello Gabriele Zecchiaroli

scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca

luci Luigi Biondi

suono Maurizio Capitini

video Lorenzo Bruno e Jgor Renzetti

Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Roma, Teatro Argentina, 20 marzo 2019

Maricla Boggio

Non è una scelta casuale, mettere in scena “Un nemico del popolo” di Henrik Ibsen, realizzandolo come spettacolo voluto dal Teatro di Roma, senza quelle solite collaborazioni con altri teatri, di altre città e regioni, che hanno il vantaggio di portare mezzi cospicui, ma evitano un impegno che abbia a che fare con un problema preciso,  generando una riflessione rispetto a una situazione e ai tempi in cui si presenta.

Viene in mente la “ Lehman trilogy” di Stefano Massini, qualche anno fa andata in scena al Piccolo di Milano, ultimo ragionato spettacolo di Luca Ronconi: storica tragedia della finanza e del potere, sviluppata attraverso più generazioni.

Ma qui, con “Un nemico del popolo”, pur avvertendo quel gusto ronconiano di delineare con lucidità anche esasperata i temi, l’argomento si fa più stretto, nell’intensità di una situazione sviluppata in un tempo breve, e l’attenzione si rivolge con più pertinenza alla società in cui oggi viviamo, senza troppe distanze come quelle relative ai banchieri, ma con il fiato addosso di chi si batte in campi contrari, e li riconosciamo come gente con cui abbiamo a che fare ogni giorno, senza sicurezza di vincere.

Nell’ampio dilatarsi del testo ibseniano, Popolizio ha sfondato quanto poteva essere superato – dei tre figli di Stockmann, rimane solo la Petra che tifa per il padre, le complicate procedure di votazione pro e contro di lui si sintetizzano in uno scambio di battute e di chiari momenti da comizio, le parentele e adozioni scivolano senza danno ecc. –  per arrivare al più presto al nocciolo.

Il contrasto fra il corrotto Sindaco, fratello del Dottore ha la forza di una sfida bergmaniana, ancora più pregnante perché richiama divergenze bibliche fra il bene e il male, e non è detto che il bene trionfi, in questa accezione borghese di fine secolo, qui portata avanti dal regista per volontà di avvicinarla a noi e sentirla più immersa in crisi economiche e ripudio di  valori di una classe ormai protesa al guadagno, mentre ancora non si è alzato a coscienza quello che sarà poi il proletariato.

Parlare di borghesia in chiave di suggerimento attuale non è male. Purtroppo il nostro teatro, quello che dovrebbe sfornare testi problematici sull’oggi, la borghesia praticamente la ignora come di cosa banale, mentre va molto mettere in scena gomorre napoletane, anche per via di un linguaggio significativo, che l’italiano non possiede, almeno così, da subito.

Vediamoci quindi noi, in questo “nemico del popolo”, un personaggio di onesto messo alla prova attraverso sotterfugi che lo incastrano al di là della volontà.

Scartando la tentazione del racconto, va detto almeno che Stockmann – che Popolizio vive con sottolineata rappresentazione, un po’ richiamando, nell’ironia e nel disagio, un soldato Schweik strehleriano, è l’onesto che si illude che la verità conquisti l’appoggio dei cittadini della sua cittadina, dove le acque benefiche delle Terme danno ricchezza agli abitanti: una volta scoperto l’inquinamento delle acque, occorre mutare l’impianto, e mentre rappresentanti della cittadinanza e giornali erano d’accordo a rivelare il pericolo delle infezioni, tutti si tirano indietro nell’apprendere che dovranno pagare di tasca loro le nuove strutture , e che le Terme rimarranno inattive e quindi improduttive di ricchezza per almeno tre anni.

È qui che si incrudisce il contrasto fra i due fratelli. Nel ruolo del Sindaco Stockmann, Maria Paiato rivela una forza istintuale di totale naturalezza, giocando al suo personaggio maschile con  la logica delle battute.

Ogni personaggio, dal direttore del giornale – Paolo Musio dalla duplicità dettata dall’interesse, pro e contro con disinvoltura – alla saggia “filosofa” moglie del Dottore – Francesca Ciocchetti, che dietro l’incanto della dolcezza dimostra la spregiudicata volontà di sopravvivere – a Billing – la cui astuzia di rappresentante degli interessi piccolo-borghesi ben si mostra nell’equivocità del non detto – ecc. contribuisce a questa lotta per arrivare alla soluzione dell’assunto. Lo scontro fra Stockmann mai persuaso di cedere, e la volontà popolare che lo fronteggia, dapprima desiderosa di verità, poi presto cedevole di fronte alla persuasività degli interessi sbandierati e alla denigrazione del Giusto, si fa modernissimo nell’immaginare un vero e proprio comizio, dove la maggioranza, nella sua stupidità conclamata  – gli stupidi sono più degli intelligenti, e la democrazia è quindi a rischio – finisce per seguire il seducente  invito del Sindaco a non credere alle ricerche scientifiche che il Dottore avrebbe voluto esibire per amore di verità.

La scelta della recitazione voluta da Popolizio è quella di una sottolineatura verbale che esaspera i concetti additandoli senza tema di sfuggirli. È una volontà che evita lo psicologismo, ma anche la naturalezza che lo stesso argomento mantiene ad esempio in cinema. Il tono è alto, rischia talvolta la maniera, ma il complesso è di grande tenuta perché gli attori non vengono meno ai ritmi voluti, alle intenzioni proclamate.

Ibsen non si ferma, nel mostrare la malvagità umana e i possibili imprevisti coinvolgimenti. Fiero della sua onestà che lo ha lasciato solo rispetto al dietrofront generale, Stockmann viene umiliato dalla rivelazione che il padre adottivo di sua moglie ha comprato tutte le azioni delle Terme a prezzi stracciati, in attesa che di nuovo lievitino a pericolo passato: ma sarà lui a essere accusato di aver montato tutto quel pandemonio dell’infezione per lucrare poi con quegli acquisti delle azioni.

Il finale che Popolizio mette allo spettacolo non è quello consolatorio di uno Stockmann a cui moglie e figlia stanno accanto fra sorrisi e mani accarezzate. Lo Stockmann di Popolizio se ne va da solo, mentre le pareti della sua casa crollano. E la scena, di Marco Rossi, è nella sua metallica essenzialità una struttura che si adegua al testo, lasciandolo libero da inutili sovrapposizioni.